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Il femminicidio all'epoca della società senza dolore

Abstract: Il patriarcato e la posizione di dipendenza della donna possono contribuire a spiegare la dinamica del femminicidio, ma riteniamo che leggere la questione sotto quest'unica chiave di lettura sia riduttivo. Proponiamo quindi le riflessioni riportate di seguito.

Che cosa abbiamo capito, nel mare magnum delle notizie di cronaca relative agli avvenimenti degli ultimi giorni?

A nostro avviso, le narrative patriarcali e la connessa visione della subalternità della donna possono in parte contribuire alla lettura delle dinamiche psicosociali sottese all’omicidio di Giulia Cecchettin.
Tuttavia, riteniamo riduttivo osservare la questione attraverso quest’unica chiave di lettura.

Vorremmo riprendere brevemente alcuni spunti estrapolati dai resoconti sulla relazione fra l’omicida e il padre. Nel contesto delle prime timide separazioni di Giulia nei confronti di Filippo, quest’ultimo avrebbe comunicato al padre di volersi uccidere, sentendosi soverchiato dal rischio di impazzire per via della rottura della relazione. In tale circostanza, il padre avrebbe risposto con qualcosa di simile a un laconico “ne trovi altre centomila, dai”.
Giunti ai giorni nostri, in seguito al nefasto epilogo della vicenda, lo stesso padre dichiara alla stampa che avrebbe sperato di essere raggiunto da notizie di una diversa fine per il figlio. Poi, “ritoccando” l’affermazione, ha proseguito con: “Sono cose che si pensano, ma è pur sempre nostro figlio”.

Eccoci dunque di fronte a una delle massime rappresentazioni possibili della rimozione del dolore, consuetudine drammaticamente cara alla nostra dissociata società odierna: se l'unico modo per proseguire nella vita è eliminare il problema alla radice, Giulia andrà dimenticata senza elaborare il lutto per la separazione (“dai! ne troverai altre…”), e l’atto atroce di un figlio potrebbe essere risolto attraverso la stessa modalità, con la sparizione del figlio medesimo. Il problema non deve esistere, va allontanato, rimosso addirittura fisicamente, perché impossibile da elaborare nella mente.

Incastrati nel pericoloso meccanismo della rimozione del dolore, dove ci sentiremo rispondere di non pensarci e di cercare altre ragazze, magari centomila, sarà controproducente e rischioso soffermarsi sulla sofferenza, come sarà impossibile affrontare le proprie fragilità. In relazione a queste premesse, potremmo dirci che esiste una continuità transgenerazionale sull’indisponibilità all’elaborazione psicologica dei limiti, del dolore, degli ostacoli, della vita che talvolta dice dei “no” quando le chiediamo (o esigiamo?) qualcosa. Naturalmente, vanno fatte le debite proporzioni tra allontanamento mentale (operato dal padre) e rimozione fisica del problema (attuata dal figlio), ma forse, presupponendo la mancanza di figure sostitutive che fungano da fattore protettivo rispetto alla difficoltà/incapacità di elaborare la sofferenza, meglio si può comprendere il passaggio all’atto.

Il problema di Filippo era il dolore per la separazione, il padre ha consigliato di escluderlo dalla mente.
Il problema di Filippo, di fronte alla mancata ricucitura del legame nella forma in cui lui lo desiderava, è diventato l’esistenza stessa di Giulia, libera e diretta verso un altrove svincolato dalle dinamiche di coppia, da accompagnare, in occasione del loro ultimo appuntamento, ad acquistare un paio di scarpe per la celebrazione della laurea. Filippo ha, a quanto sembra, direttamente eliminato anche questo secondo grande problema, poiché incapace di integrare il fatto che con un paio di scarpe nuove sarà possibile camminare, allontanarsi, di fatto prendere nuove strade, magari del tutto differenti dalle proprie.

I problemi degli uomini, figli e tutori della società senza dolore, devono essere rimossi con celerità. Questo tipo di funzionamento primitivo, pregno dell’estrema difficoltà ad accettare le separazioni o uscire integri da una situazione di sofferenza, ci ha riportato alla mente l’immagine del bambino che, quando non riesce a mantenere il controllo o appropriarsi di un gioco o un oggetto di suo interesse lo attacca, e talvolta lo distrugge.
Cosa accadrà a Filippo Turetta quando, nella solitudine di una cella spogliata dalle effigi dei problemi che lo affliggevano da uomo libero, si renderà conto di contenere in sé, in nuce, il fulcro del problema?
L’ipotetica risposta, viste le modalità di coping disfunzionali sovra descritte, non può che preoccuparci e addolorarci profondamente.

Ci troviamo, oggi, di fronte a cambiamenti sempre più rapidi del ruolo femminile che molti uomini faticano a riconoscere e accettare.
L’emancipazione può ancora essere vista con sospetto, senza che questo guidi la collettività a interrogarsi per integrare davvero le nuove possibilità emergenti a livello di carriera delle ragazze che, in molti casi, rifiutano o reinterpretano il ruolo femminile, rigidamente inteso sino a pochi decenni fa.

Per districare le fila, in qualità di professionisti della salute mentale, di fronte a queste molte vicende complesse e aggrovigliate non potremmo far nulla di peggio che riempirci la bocca di “j’accuse”, puntando il dito contro gli uomini che soffrono poiché vittime essi stessi di un sistema che non facilita reali possibilità di comunicare ed elaborare i propri stati interni dolorosi.
Occorre, piuttosto, porsi in ascolto del dolore dei ragazzi messi di fronte ai “no”, alle angosce di fallimento, al forte senso di straniamento percepito nel rapportarsi a una società fortemente prestativa ma sicuramente meno prodiga nell’elargire vere opportunità di crescita e sviluppo personale, come accaduto nelle generazioni precedenti.

Per concludere, riteniamo fondamentale intercettare i ragazzi a scuola, ricordando che non sarà mai sufficiente relazionarci con loro in maniera individualistica, ma che sarà necessario coinvolgere attivamente, in momenti di formazione dedicata, le famiglie, i docenti e la comunità educante, per tentare la co-costruzione di nuovi linguaggi a uso della collettività, finalmente improntati alla condivisione aperta del dolore, delle incertezze e delle fragilità fase-specifiche, per tutto il ciclo di vita. E senza dimenticare che le scissioni e le rimozioni non aiutano mai l’integrazione del pensiero e degli affetti. La contrapposizione tra i generi, in assenza di un progetto di riconciliazione, promuove una legittima prospettiva di separatezza (di punti di vista, aspirazioni, percorsi), senza prospettare un ideale di ricomposizione TRA i punti di vista, le aspirazioni, i percorsi esistenziali.

Riconciliazione e ricomposizione basate sul riconoscimento della differenza, fuori da un paradigma di subalternità. Se è vero, come molti dicono in questi giorni, che gli uomini vanno educati a educare gli altri uomini - anche tra pari - al rispetto, al riconoscimento, al sostegno del femminile, anche le ragazze vanno educate, ma non solo a riconoscere presunti segnali di prevaricazione e violenza da parte maschile (che purtroppo sono troppo spesso difficili da individuare), ma anche a non ritenere scontata o doverosa l’adozione (basata sul senso di colpa per un presunto mancato accudimento) di un codice materno di accettazione costi quello che costi di qualunque sopraffazione qualora interpretata come fragilità, così come è emerso nell’ascoltare, col cuore colmo di angoscia, il tristemente noto audio vocale inviato da Giulia alle sue amiche. Per evitare che tutto ciò accada nuovamente, è importante riflettere sui meccanismi sottostanti a queste dinamiche di rimozione e di violenza. Questo breve articolo è il minimo contributo che ci sentiamo di portare alla collettività.

Per chi fosse interessato può trovare in questo articolo alcuni utili approfondimenti sulla società senza dolore.

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